La galleria A arte Studio Invernizzi ha inaugurato martedì 19 maggio 2009 una mostra personale dell’artista Rodolfo Aricò.
La mostra è incentrata su un nucleo di opere degli anni Ottanta “che costituiscono un territorio particolarmente significativo della complessa parabola creativa di Rodolfo Aricò. Si tratta di un momento che segue un lungo periodo di elaborazione fortemente introspettiva, che ritrova una nuova occasione di pubblico riconoscimento in occasione della sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1982 e da quell’evento volge alla creazione di una stagione completamente nuova del suo dipingere. Se gli anni Settanta erano stati il luogo dell’investigazione tattile dell’archetipo strutturale e architettonico, come possibilità di sensibilizzazione del limite, della soglia tra vivere e dipingere, negli anni Ottanta si compie in modo assoluto e totale quella metamorfosi della vita in pittura e della pittura in vita, senza più alcuna soluzione di continuità, che pare essere stato l’obiettivo dell’opera di Aricò sin dai propri esordi.
Esaurite le potenzialità umanistiche degli archetipi, Aricò si muove all’inizio del nuovo decennio nella direzione di un primordio antropico che ad essi è ancora anteriore, ritrovando una dimensione lirica per così dire universale, che potremmo definire autenticamente introspettiva, se intendiamo il termine nel senso di investigazione primariamente fisica del proprio esistere come frammento dell’universo. Si tratta di una indagine dolorosa e inevitabile, sentita come tale dallo stesso artista, che culminerà in tutta la propria totalizzante drammaticità nelle successive pitture lacerate e frante degli anni Novanta. Un senso doloroso dell’umano incomincia ad emergere dai frammenti degli archetipi, per disvelarci quella che l’artista stesso definisce ‘una provvisoria eternità’. Una dimensione spaziotemporale che altro non è che l’eterno divenire del tutto, acutamente e intimamente percepito nel sé: ‘Un modo forse, per rapprendere con la pittura, con i suoi eterocliti meccanismi, una provvisoria eternità. Se questo è morale, è anche l’unica condizione di vita ineludibile per me. L’indipendenza allora è solo condizione di fedeltà alla propria esistenza. Altre categorie di fedeltà non conosco’. Il tutto tradotto in una visione altissima, profondamente ed eticamente partecipata, nella quale la pazzia diviene in realtà l’unico limite estremo possibile della razionalità e il provvisorio la sola epifania plausibile dell’eterno”.
Così scrive Francesca Pola nel saggio introduttivo della monografia bilingue che è stata pubblicata in occasione della mostra e contenente la riproduzione delle opere esposte, una poesia di Carlo Invernizzi e un aggiornato apparato bio-bibliografico.