La galleria A arte Studio Invernizzi ha inaugurato giovedì 18 marzo 2004 la mostra Segni di luce.
Questa mostra, dedicata alla luce artificiale come mezzo di espressione artistica, propone una lettura retrospettiva basata su alcune presenze che inducono una riflessione sui mutamenti in mezzo alle continuità: continuità delle scelte linguistiche, mutamento in ciò che esse comportano.
L’avventura sensoriale di cui parliamo trova nella luce al neon un mezzo quanto mai appropriato che, in quanto tale, sarà adottato da moltissimi artisti, appartenenti alle più diverse poetiche.
Nell’intento di rendere lo spettatore partecipe dei processi formativi e nel rendere l’opera stessa un processo dinamico in atto, artisti come Gianni Colombo e François Morellet hanno usato mezzi tecnologici avanzati. Per Morellet la luce al neon è diventata un tratto distintivo, mentre Colombo ha sviluppato una ricerca verso la dimensione ambientale dove diviene essenziale l’interrelazione dell’osservatore, molti anni prima di ogni ricerca “interattiva”.
Il neon di Dan Flavin corrisponde in tutto e per tutto all’oggetto prodotto industrialmente e questo calarsi nel mondo della produzione non-artistica rappresenta una svolta “laica” allo spiritualismo insito nelle correnti pittoriche astratte basate sul risalto simbolico-emotivo del colore puro.
L’oggetto luminoso che usa Keith Sonnier diventa segno luminoso dove i valori emotivi della luce-colore si combinano con le fenomenologie di una materia quasi sempre di natura extra-artistica.
La scritta Miracle di Sylvie Fleury richiama la scrittura al neon dei Concettuali, ma per produrne una specie di parodia.
Le lampadine e i fili elettrici a vista di Matthew McCaslin appartengono alla vita quotidiana e si pongono quindi in contiguità con essa, sia quando si presentano come curiosi bassorilievi intricati e luminosi, sia quando invadono l’ambiente.
Gli spotlight di Michel Verjux proiettano i loro cerchi luminosi nell’ambiente - pareti, scalinate, soffitti - dove si pongono come traccia immateriale ma comunque “altra” rispetto a quella dominante.
I led di Tatsuo Miyajima ci presentano un’incessante proliferazione di sequenze aritmetiche, insiemi di numeri che si susseguono secondo tempi diversi. Luminose e silenziose, le opere si aprono all’interpretazione dell’osservatore che può cogliere in essi l’irrimediabile trascorrere del tempo, o una riflessione sul potenziale conoscitivo della matematica.
In occasione della mostra è stato pubblicato un catalogo bilingue, contenente un saggio introduttivo di Giorgio Verzotti, le riproduzioni delle opere in mostra, una poesia di Carlo Invernizzi e un apparato biografico.